In quasi tutte le notti dell'anno, una stella luminosa brilla orgogliosa nel cielo di Cuba, a sentinella dei suoi figli. E' una stella importante per i Cubani perché brilla anche nella loro bandiera. E' anche il gioiello al centro della corona del loro patrono, la Santa Vergine della Carità del Cobre. Ed è la stella del berretto di Che Guevara. Tutti i Cubani sono nati sotto questa stella che li protegge e li fortifica.
La chiamano "La Estrella Solitaria".
Nel mondo, è conosciuta come Venere, la dea dell'Amore.
Se sei un inguaribile romantico come me, guarda questo film con un respiro
che vada oltre la sua approssimazione tecnica e stilistica...
Produzione: Torino, gennaio 2010
Durata: 16m40s
Riprese, montaggio e testi: Luigi Mezzacappa
Scelta delle musiche: Giulia Mezzacappa
Altri consigli preziosi: Luca Mezzacappa e
Grazia Bertasi
Grazia Bertasi
Musiche: Gioia Infinita (Negrita), Ojos de Brujo
(Putumayo), Cuba te Llama (Prandi Sound)
(Putumayo), Cuba te Llama (Prandi Sound)
Inserti: “Che l’Argentino” di Steven Soderbergh (2009)
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Eppure lo sapevo, non è mica la
prima volta che metto il naso fuori di casa…
Eppure tutte le volte è la
stessa storia: mi illudo che il nuovo viaggio mi aiuterà a trovare qualche
risposta alle mie domande, e invece poi al ritorno, puntualmente, mi ripeto:
“Ah, già che stupido: i viaggi non ti danno risposte, ma solo nuove domande!”
E così, ogni volta, la mia
collezione di domande senza risposta si ingigantisce…
In compenso, però, se sei
attento e fortunato, un viaggio qualche volta può anche regalarti una risposta
a una domanda… che non ti eri fatto!
Curioso!
Questo è il racconto un po’
strano di un viaggio bellissimo ed emozionante, ma… perfettamente inutile. Lo è
stato per me, ma sono pronto a scommettere che lo sarebbe stato per chiunque:
bellissimo, emozionante e… inutile!
Inutile perché… chiunque
visiti Cuba, troverà esattamente quello che cerca: chi vuole vedere le miserie
di un regime, le troverà nelle campagne e nei quartieri popolosi della capitale,
ma anche chi spera di scoprire se esiste un socialismo romantico che sia in
grado di infondere dignità e fierezza sarà accontentato.
La povertà è evidente, ma lo
è anche la solare caparbietà di un popolo incapace di arrendersi alle
avversità, lo è anche la dignità con cui la povertà viene vestita. Cos’altro
può spiegare quella pacata allegria che si respira dovunque? Anche qui siamo in
Sudamerica, eppure non c’è traccia di “saudade” e tantomeno di disperazione…
La sensazione che si ha parlando
con i cubani è di una grande consapevolezza della loro condizione e, a dispetto
di tutto, di una immensa fiducia nel futuro. Come si spiega altrimenti l’amore
per i “cubanitos” che avverti tutte le volte che incroci una scolaresca o un’intera
famiglia che si tiene per mano? In quanti altri posti, in Sudamerica, puoi
scattare foto come queste? In quanti altri posti, nel mondo, puoi trovare una
scuola in un villaggio di contadini di 4 case? O un “policlinico” in un paese
di 40?
Ci sono cose che non è
necessario farti spiegare da nessuno, revolucionario o contro-revolucionario
che sia; ci sono cose che vedi e basta, e sono queste che qualche volta danno
una risposta alle domande che non ti eri fatto...
La vita, qui, è ancora in
sintonia con la natura e con la terra: ti basta vedere come gli animali
scorrazzano nelle fattorie, oppure come i cani… “pascolano” anche nel centro
dell’Avana, sicuri che nessuno, mai, darà loro fastidio.
L’ambizione, che noi
consideriamo un sentimento naturale, qui non porta al logoramento; la
frustrazione, se esiste, non è l’effetto di una corsa senza esito verso la
ricchezza e la realizzazione personale perché qui il mito della rivincita e del
riscatto individuale è stato soppiantato – che ci si creda e che piaccia oppure
no – da un altro mito, quello del riscatto di una Nazione, dal ruolo di bordello
che le era stato assegnato…
Ah, bella
sorpresa per chi pensava che Cuba fosse ridotta al silenzio, terrorizzata da agenti
segreti disseminati tra la gente e pronti ad arrestare anche il più timido dei
dissidenti…
Non ho avuto la
prontezza per rispondere alla signora: “Mi scusi, è vero che il vostro Paese è
in pace, ma è il resto del mondo che è in guerra contro di voi, con l’embargo…”
Onestamente,
anche se avessi avuto la prontezza non le avrei comunque detto nulla: ho il
sospetto che mi avrebbe guardato stupita, né più né meno come faremmo noi con qualcuno
che venisse a dirci che l’attuale governo è il migliore che l’Italia abbia mai
conosciuto…
“Il dissenso è possibile, anche se chi lo dimostra rischia l’ostracismo, soprattutto sul
lavoro”. Mi vien da dire: “Come dappertutto!”
Al Cubano di turno che ti
apostrofa “Ciao Italiano!” e ti dice che noi sì, siamo fortunati, provi a
spiegare, nel linguaggio più appropriato che puoi, che il liberismo non è
“automaticamente” migliore del socialismo, ma leggi sul suo viso il sospetto
che tu lo stia prendendo in giro. Allora provi a dire nel miglior spagnolo o
inglese che riesci che nessun sistema è perfetto perché è l’uomo a non esserlo,
e allora ti sorride. Provi a dirgli che spesso, fuori da Cuba il lavoro, la
casa, la scuola e la sanità non ti spettano di diritto, ma te li devi comprare.
Provi a ricordargli altri fenomeni che proliferano dove potere politico ed economico
vanno in cortocircuito con la criminalità, parole come mafia che conosce benissimo,
ma solo perché è colto, e a dispetto di quanto si dice, molto informato. Allora
comincia a prenderti sul serio e ad ascoltarti.
Provi a dirgli che sì, certo,
la questione delle condizioni di vita è aperta se guarda all’Europa e agli
Stati Uniti, ma se si guarda intorno, tra il resto dell’America Latina e lui
cubano, non c’è partita. Provi a chiedergli se è vero ciò che dice il primo
cartellone di propaganda di regime che noi turisti leggiamo appena arriviamo
all’aeroporto dell’Avana: “Ogni notte nel mondo venti milioni di bambini
dormono nelle strade. Nessuno è cubano”.
Ti sorride, ti dice che è vero.
Sorrido anch’io, come a dirgli che l’avevo capito.
Ti sorride, ti dice che è vero.
Sorrido anch’io, come a dirgli che l’avevo capito.
…
Cuba è probabilmente il più
grande museo dell’automobile a cielo aperto del mondo. La guida ci spiega che
per i cubani l’auto non è un lusso, e se possono cercano di non averla. Vederle
viaggiare sembra un miracolo, alcune hanno anche 60 o 70 anni; i pezzi di
ricambio se li ricostruiscono in casa, i cubani. Si vedono gli assemblaggi più improbabili:
ho visto il volante di una Fiat Brava montato su una Chevrolet del ’54!
Ma non per questo i cubani mi
fanno tenerezza. Sarò strano, ma mi fanno piuttosto invidia: forse arriverà un
giorno in cui a forza di cambiare auto, fra 5 o 5 mila anni avremo esaurito
tutte le risorse della Terra e tutta la pazienza dei popoli che abbiamo sottomesso
ai nostri capricci. Quel giorno andremo a supplicare i cubani di ripararci l’auto
o il frigorifero, e di insegnarci a risparmiare.
C’è, un nervo scoperto, una
questione non da poco, sulla quale la comunità internazionale “bacchetta”
continuamente Cuba: i diritti umani. Il governo rivoluzionario non è certo
senza macchia e la questione sollevata nel 2003 da Amnesty International sulla detenzione
di “prigionieri di coscienza” lo testimonia. Ma va anche detto che sempre
Amnesty International ha ripetutamente invocato la fine dell’embargo, adducendo
ad esso gli enormi danni che Cuba ha dovuto soffrire anche sul piano dei
diritti umani.
E’ una questione molto
complessa, come spesso capita, ma paragonare Cuba all’Unione Sovietica di
Stalin o alle dittature sudamericane sponsorizzate dagli Stati Uniti come il
Guatemala di Rios Montt è certamente un errore, anche secondo i più severi
critici del regime.
A Cuba non si verificano
“sparizioni” nel cuore della notte, né torture istituzionalizzate come quelle
in pratica prima della Revolucion sotto Batista, il Presidente-fantoccio della
mafia sostenuto dagli Stati Uniti.
Per comprendere
l’atteggiamento di Cuba sui diritti umani, conviene cercare di calarsi nel
contesto: l’ideologia socialista tende a privilegiare il senso del dovere
rispetto alle libertà individuali, e le necessità fondamentali come
l’assistenza sanitaria, l’alloggio e l’istruzione gratuiti rispetto al diritto
di possedere un SUV. Dopo 45 anni di sabotaggi e attentati ad opera del sempre
più aggressivo vicino statunitense, Cuba si è vista costretta a promuovere una sorta
di “solidarietà tra assediati”, sia per tenere a bada i nemici, sia per
mantenere il controllo su un popolo sul quale sarebbe stato facile fare
pressioni.
Sempre nel 2003, il tono
delle recriminazioni contro Cuba è salito a causa della condanna a morte di tre
dirottatori che avevano spinto un’imbarcazione di turisti sulle coste della Florida
con la minaccia delle armi.
Il ministro degli Esteri, in quell’occasione, dichiarò pubblicamente che Cuba non
appoggia la pena di morte e vorrebbe un giorno non averla, ma ha deciso con
sofferenza di ricorrervi per difendere un Paese aggredito per oltre 40 anni,
perché sente sulle spalle la responsabilità degli effetti di un conflitto che
potrebbe mettere a repentaglio la vita di cubani e non cubani, dentro e fuori
l’isola.
Per considerare il problema
sotto una luce più ampia, potrebbe essere molto utile guardare ciò che accade in
altri Paesi dell’America Latina sotto gli occhi di una comunità internazionale immobile.
Come ad esempio in Brasile,
dove la Polizia al soldo di imprenditori e proprietari terrieri massacra i ninos
de rua; o come in Messico, dove in quindici anni sono state violentate e
massacrate 9 mila giovani donne con la complicità della Polizia e dei
proprietari delle fabbriche.
Oppure sulla stessa isola, al
di là del filo spinato di Guantanamo, dove proprio gli Stati Uniti perseverano
nella violazione dei diritti umani, o nello stesso territorio americano, dove tra
il 2001 e il 2002 sono state ordinate 156 esecuzioni e, a dispetto di quanto
previsto dal Diritto Internazionale sulla inapplicabilità della pena capitale, dal
1995 al 2003 sono stati giustiziati 12 minorenni.
Tutto
ciò, mentre la stampa
internazionale dà spazio e risalto alla dissidenza cubana, ma sarebbe
anche giusto ricordare che nulla di tutto ciò capita a Cuba.
…
Questo è il film che mi sono
fatto di Cuba. “Film” detto tra virgolette…
Qualsiasi idea si
abbia in proposito, Cuba è lì a dimostrare, a chi è capace di andare oltre le
ideologie e gli schieramenti politici, che “un altro modo” è possibile.
Sedici giorni non sono certo
sufficienti per affermare che tutto quello che ho detto e raccontato
corrisponde esattamente al vero, ma certamente corrisponde a quanto vorrei
che fosse vero.
Ciò che non vorrei,
invece, è che mi fosse impedito di continuare a sperare, nel nome di un pragmatismo di convenienza, che se non
è adesso e non è a Cuba, possa esistere un giorno in qualche angolo del mondo un’isola
felice…
Possiamo continuare… possiamo
tornare a crederlo?
Era questa la domanda che non
mi ero fatto.