Torino, una storia diversa


Tempo di crisi economica, ma non tutti hanno capito quanto sia ancora più grave la crisi di valori che sta attraversando il nostro Paese. Come vive questo momento una città consapevole del ruolo e della responsabilità che la Storia le ha assegnato, una città che nel bene e nel male ha comunque sempre mostrato grande capacità di reazione a problemi gravi e drammatici e che, a dispetto di tutto, continua a credere nell'ideale dell'unità e dell'integrazione?



TORINO, una storia diversa
Produzione:          Torino, settembre 2011
Genere:              Documentario
Durata:              10m32s
Formato video:       16:9
Soggetto e testi:    Luigi Mezzacappa
Riprese e montaggio: Luigi Mezzacappa
Musiche:             MAU MAU (Il treno del sole, Mostafaj, Fiore)

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Chi lo sa se è davvero cambiata, questa città?
Eh, bella domanda! E... non sarebbe una domanda da rivolgere a un torinese, questa. La risposta sarà sempre più critica che obiettiva...
Ma poi... cambiata, in che senso? Per essere cambiata è cambiata, però...
Voglio dire... le vie, le piazze, i musei, l'atmosfera: certo! Anche se sono torinese non ho dubbi, è cambiata, sì! E sono pronto a sfidare chiunque a dimostrare il contrario.
Però... spesso mi sembra che, parlandone, nessuno sia disposto a crederlo, e a volte mi sembra che siano proprio i torinesi i primi a dubitarne...
E allora... ho voluto fare una prova: prima di tentare di dimostrare se sia cambiata, vorrei mostrare qualche immagine, di questa città. Così, giusto per capire se parliamo tutti della stessa cosa...
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Non sono in grado di fare analisi sociologiche e, cercando di starne alla larga, finirò probabilmente per dire un sacco di ovvietà. Pazienza...
La prima è che... il ridimensionamento della fabbrica che come una campana di vetro proteggeva i torinesi ma ne limitava anche la fantasia, ha generato una grandissima apprensione, ma ha anche liberato la spinta per inventare un nuovo modo di esistere.
Oh, i sacerdoti del liberismo non si montino troppo la testa: non intendo dire che la scomparsa dello stato sociale sia la molla della più sana delle competizioni perché... mi sento più portato a sostenere il contrario...
Direi piuttosto che, dal momento che è stata sancita la fine della monocultura e del monoprodotto, questa città si è sentita come sollevata da una sorta di predestinazione, libera di dirigere altrove le sue energie. Ed è curioso che qui, tutto sia successo senza troppi cataclismi...
Così sono riaffiorate altre ricchezze, e... se la cultura ha assunto un'importanza di primo piano, potrebbe anche voler dire che... la logica della fabbrica e del profitto potrebbe non essere l'unica "giusta", o quanto meno l'unica possibile...
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Ma torniamo alla questione iniziale...
Io non lo so se c'è ancora qualcuno convinto che Torino sia una grigia città dormitorio, ma... se c'è, adesso forse saprà che... come dormitorio... è piuttosto rumoroso!
Torino è cambiata, sì: non è più un dormitorio, ammesso che questa poi fosse una colpa...
E non è neanche più grigia, ma colorata, coloratissima. Ed è orgogliosa dei suoi colori: anche quando sarà finita la festa e molte delle bandiere che hanno sventolato in questi mesi torneranno forse nei cassetti, ci penseranno i colori della sua gente a mantenerla allegra.
Qui si contano più di 100 comunità e tante, tante religioni; una situazione in continua trasformazione, carica di rischi, ma anche di potenzialità.
Per fortuna la scuola, il tempo e le condizioni sociali lavorano per abbassare le barriere culturali. Le seconde generazioni - e adesso anche gli immigrati più giovani - dimostrano una gran voglia di diventare italiani. Per fortuna non mancano le occasioni di incontro: salvando e riconoscendo le identità e le differenze della tradizione e delle storie personali, preparano a confronti meno conflittuali tra le identità e le differenze culturali e religiose.
Le cose tristi càpitano quando non c’è accoglienza, quando la religione diventa una questione di principio. E’ incredibile che un popolo di migranti come il nostro spesso tratti gli immigrati con la stessa cattiveria indifferenza e ipocrisia di cui ha sofferto nel suo passato.
L’emigrazione è una sfida al senso della vita: chi emigra valica i confini della propria cultura per allevare figli in un universo di valori estraneo, spesso in contraddizione con il proprio.
Le comunità religiose sono polmoni di accoglienza e di aiuto e possono ridurre il rischio di criticità ben più gravi.
L’integrazione è un processo lento: l’emarginazione ne aumenta i problemi, la tolleranza lo facilita.
In questo, Torino non è mai cambiata: a dispetto di tutto, degli errori passati e dei problemi futuri, ha ancora il coraggio di affrontare un fenomeno che solo gli sprovveduti o i mistificatori credono di poter cancellare.
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E forse, la matrice di quel coraggio - a volte limpido e generoso e altre ambiguo e controverso - è la stessa che animò l’integrazione per eccellenza: l’unificazione di questo nostro tormentato Paese…
Una straordinaria ricchezza di ideali, aspettative e programmi, a volte anche incompatibili tra loro, crearono a un certo punto un contesto unico e irripetibile in cui si innescò e si compì l’unificazione, ma la formazione di una coscienza nazionale, da noi, non è mai stata facile, né lineare o coerente.
C’erano tutti: nazionalisti romantici, repubblicani e socialisti; papalini, laici e anticlericali; liberali e monarchici, repubblicani e federalisti radicali contro la monarchia.
C’era l'ambizione dei Savoia a espandersi verso est, c’erano anche e soprattutto il desiderio e il bisogno di affrancarsi dal dominio austriaco; c’era un generale desiderio di miglioramento della vita dando spazio alle potenzialità della rivoluzione industriale. C’era il respiro idealistico, la volontà di superare la frammentazione che spinse i rivoluzionari della penisola a immolarsi per la nascita di una Patria più ampia, analogamente a quanto era avvenuto in Francia, in Spagna e in Gran Bretagna.
E poi... ci sono state anche la rabbia, la vendetta e gli interessi particolari che hanno guidato la mano di chi da quegli stravolgimenti si è sentito tagliato fuori o tradito, a lacerare sempre più un Paese aveva bisogno di tutto, tranne che di ulteriori divisioni.
E oggi c'è perfino chi rinnega tutto, come se cambiare il nostro passato potesse "aggiustare" il nostro presente, quando invece è solo cercando di capirlo che si potrebbero accettare le nostre complessità e le nostre debolezze, e da lì ripartire...
Non so perché - o forse sì, forse è perché sono torinese - ma credo che dove una volta è nata una nuova idea, possa nascerne ancora un'altra, un'altra volta.
Forse è perché con questa presunzione sono molto poco torinese; forse è perché ho visto i 150 anni dell'Italia a Torino e poi in altre città; forse è perché conosco quel poco di storia che mi ha detto molto della capacità di reagire di questa città di fronte ai pericoli più tremendi; forse è perché mi illudo di conoscere il carattere di questa terra, forse così chiusa e caparbia proprio perché poco considerata dal resto dei connazionali, ma mi vien da dire che c'è solo un posto dove, a dispetto di tutto, si può ancora credere nella possibilità di ripartire...