Un altro mondo

Le suggestioni del deserto, l'istinto alla vita e la "confidenza" con la morte, aperture e contraddizioni, il contrappasso delle civiltà, le questioni irrisolte.
Personalissimi appunti di un viaggio in uno spicchio di mondo straordinariamente affascinante.
Produzione: Torino, dicembre 2010
Genere: Documentario
Durata: 15m52s
Soggetto, riprese e montaggio: Luigi Mezzacappa
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Quello che ho visto non era mica il deserto: chi lo conosce bene mi ha detto che quello di Giordania, Egitto e Israele non assomiglia neanche lontanamente al deserto.

E io che credevo di sapere cosa fosse per averlo visto tante volte su qualche schermo di vetro o di  tela, dopo avere solo calpestato la polvere di questo che non gli assomiglia nemmeno, ho capito che di deserto non ne so assolutamente nulla: non ho la più pallida idea di cosa significhi vivere qui...

Come un perfetto turista mi sono lasciato trasportare dalla diceria, facile miscuglio di nozioni scolastiche e suggestioni del paesaggio, secondo la quale gli antichi egizi sarebbero arrivati qui da un altro pianeta, magari dalla luna, perché chi ha realizzato quelle opere, se avesse voluto avrebbe anche saputo ricostruire sulla Terra l'ecosistema in cui si era sviluppato...

Suggestioni, ma la Storia dell'uomo in questo angolo di mondo è così affascinante che è difficile sfuggirvi.
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Così come è difficile sfuggire al messaggio che una in particolare di queste terre trasmette a proposito della determinazione del popolo che la abita. Solo un popolo come quello di Israele poteva dimostrare - con questa evidenza - che anche e addirittura il deserto può essere coltivato e può dare i suoi frutti. L'acqua è sfruttata, letteralmente, fino all'ultima goccia. Un popolo "ostinato alla vita", una lezione per l'intera umanità.

C'è solo da chiedersi come sia possibile che un popolo così ostinato alla vita possa vivere a braccetto con la morte. Israele è un Paese perennemente all'erta; ogni insediamento e ogni villaggio è circondato da filo spinato e posti di blocco. Poliziotti poco più che ragazzi si mischiano ai turisti nelle aree di servizio dell'autostrada: appoggiati ai loro fucili ci ricordano che da quelle parti l'ostinazione alla vita è sorretta da strumenti di morte.

Non sono simpatici a nessuno, gli israeliani. Nemmeno alla guida giordana che di loro ci dirà: "Da 60 anni abbiamo dei vicini scomodi, e ce li teniamo. E' meglio che vengano in vacanza qui da noi dove c'è tolleranza, piuttosto che andare a seminare odio altrove. Hanno sofferto, ma questo non dà loro il diritto di perpetuare su altri le violenze che hanno subito. Nonostante gli aiuti dell'Occidente, il popolo ebreo porta ancora dentro di sé il seme della propria dannazione. La Giordania è in pace da 80 anni perché noi abbiamo capito che la pace è l'unica garanzia possibile di sviluppo e prosperità."

Masada è stata eletta a emblema di questo Paese: l’antica fortezza fu edificata nel 42 a. C. da Erode il Grande, re della Giudea sotto il protettorato romano, come rifugio in caso di rivolte ebraiche. Nel 73 d. C., dopo la caduta di Gerusalemme, fu teatro della testimonianza della caparbietà del popolo ebreo. Erano quasi mille tra soldati, donne e bambini, asserragliati all’interno della fortezza per proteggersi dall’attacco dei soldati romani, e quando i romani li raggiunsero dopo mesi di assedio, gli ebrei preferirono il suicidio di massa alla schiavitù.
Non sono piaciute, agli israeliani, le recenti scoperte di alcuni storici americani che dimostrerebbero una diversa versione dei fatti secondo la quale sarebbero stati i romani, e non gli ebrei, i veri eroi nel senso della dedizione alla causa. Forse non è piaciuto che a dirlo siano stati studiosi americani.
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In Giordania vive una popolazione di soli 6 milioni di abitanti, ai quali vanno aggiunti un milione di egiziani e un altro milione tra irakeni e palestinesi. Nonostante l'esiguità della popolazione, in Giordania funzionano 36 università.
L'economia è in crescita perché è riuscita a coniugare innovazione e tradizione: le popolazioni beduine sono supportate nell'economia, nella sanità e nell'educazione. La Giordania si appresta a raggiungere in dieci anni i livelli di ricchezza europei.
Se è vero che ogni popolo porta in sé il seme del proprio destino, la stabilità sociale e l'apertura culturale dell'attuale Giordania discendono forse un po' anche dall'antico popolo dei Nabatei, che si insediarono qui oltre duemila anni fa e crearono Petra dalla nuda roccia.
La città diventò presto un crocevia del commercio sulle rotte della seta e delle spezie grazie alle quali Cina, India e Arabia poterono incontrarsi con Egitto, Siria, Grecia e Roma.
Sono stati scritti fiumi di parole su questo prodigio che uomo e natura hanno per una volta creato insieme, ma le montagne rosse e i mausolei di Petra non chiedono altro che essere ammirate per quello che sono: una delle sette meraviglie del mondo.
Petra è un tesoro prezioso grazie al quale la Giordania è diventata la prima meta turistica della penisola del Sinéi, superando perfino l'Egitto "balneare".
Il fascino di Petra è forse anche costituito dal fatto che, per almeno sei secoli, è stata completamente dimenticata. La città fu conquistata dai romani nel I secolo, ma quando essi volsero l'attenzione a est di Costantinopoli, Petra cominciò a sfiorire. Nel XII secolo i Crociati vi costruirono un forte, ma presto se ne andarono, così Petra scivolò nell'oblio fino al 1812, quando fu riscoperta da un esploratore svizzero.

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Ancora una volta è la guida a darmi uno spunto di riflessione. Riguarda qualcosa che ha che fare con il processo di decadenza delle civiltà...

Ci racconta: a noi egiziani non piace sentir parlare di schiavi. A costruire le piramidi non furono gli schiavi, ma operai salariati. Durante le piene del Nilo, da queste parti era impossibile lavorare la terra e i contadini delle terre inondate erano ben contenti di andare a costruire le piramidi. Oltretutto, il faraone spesso li ricompensava assegnando loro nuove terre.
Al di là di tutto ciò che è stato detto sulla civiltà dei faraoni, è certo che opere di tale importanza artistica e culturale non avrebbero potuto essere costruite in condizioni di stenti e vessazioni. Quando c'è benessere, gli artisti sono pagati e lavorano bene e, infatti, le testimonianze arrivate ai giorni nostri ci parlano di periodi relativamente felici e non delle dinastie dei faraoni che pensavano solo a farsi la guerra l'un l'altro.

Interessante! E poi prosegue: vi sembra che l'Egitto di oggi possa discendere da quella civiltà?
L'80% del territorio è desertico, dunque l'acqua è un bene prezioso. Ma guardate il Nilo, guardate come viene insultato dall'immondizia. Manca la cultura. Costruire la cultura di un popolo è più difficile che costruire una piramide. L'Egitto ha 80 milioni di abitanti e produce più petrolio del proprio fabbisogno. Inoltre, incassa qualcosa come 5 miliardi di dollari all'anno dai pedaggi dello stretto di Suez. Ma a cosa servono tutti questi soldi se non c'è cultura?

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La repubblica araba egiziana è da tempo caratterizzata da autoritarismo e forme di "culto della personalità"; ciò nondimeno, appare sufficientemente stabile da incoraggiare gli investimenti stranieri e il turismo. Ma l'influenza della classe militare che guida il Paese da 60 anni e che tuttora esprime quasi il 50% dei ministri, si avverte anche solo osservando la vita nelle strade: in un solo giorno è possibile vedere più poliziotti di quanti se ne possano vedere durante un'intera vacanza in un certo Paese dei Caraibi comunemente considerato un "regime".
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C'è ancora una cosa che mi porto a casa da questo viaggio...

Dopo avermi parlato del mistero del deserto, questo viaggio mi ha raccontato qualcosa di una questione fondamentale e fondamentalmente irrisolta: la condizione femminile.

Ho sentito persone aperte e illuminate parlare di libertà di scelta, ma dalle stesse persone ho sentito spiegare la poligamia come un male minore del divorzio, ed evitare qualsiasi allusione a una pur vaga possibilità di reciprocità.

Ho sentito parlare di rispetto dei ruoli fisiologici, di emancipazione della donna come riduttiva rispetto a un progetto più alto di emancipazione dell'umanità, ma non ho mai sentito parlare di rispetto delle inclinazioni e delle aspirazioni della persona.

Ho visto e sentito quel tanto che potrebbe bastare a un qualsiasi turista per sentirsi autorizzato a esprimere giudizi sul livello di civiltà di questo spicchio di mondo, ma preferisco seguire l'invito del nostro amico giordano ad ascoltare e vedere col cuore prima che con le orecchie e con gli occhi.

Deve essere vero per forza che c'entra ANCHE la libertà di scelta. Ho troppa considerazione per la donna in generale per credere che possa lasciarsi offendere da un velo. Ho troppo rispetto per la donna per pensare che basti un velo per offenderla.

E ho troppa paura di pontificare se questo rischia di farmi dimenticare che l'Occidente non è assolto da questo genere di colpa, ed è sempre una questione di veli.

No, non siamo migliori, noi. E non credo a questo genere di conflitti: possono essere alimentati solo da chi spera di nascondere la sua incapacità di diventare definitivamente adulto...